Ho trovato casa nel silenzio

Era un po’ che giravo intorno al tema della meditazione. E al desiderio di trovare un cammino interiore, spirituale in cui riconoscermi. Due libri di Tiziano Terzani («Un indovino mi disse» e «Un altro giro di giostra») mi avevano suscitato curiosità e parecchia materia su cui riflettere. Poi sempre un libro, «Il gusto di essere felici» di Matthieu Richard – monaco buddhista francese, per anni persona vicina al Dalai Lama – mi aveva ulteriormente intrigato.

Insomma. Era tutto lì che covava.
Nel 2014 Francesca, una delle mie due maestre di yoga di allora, mi dice: «Senti, stiamo pensando di andare a fare un ritiro di meditazione. Vuoi venire?».
«Va bene».
«Guarda che sono quattro giorni e che si fa il voto del silenzio».
«Va bene».
«Guarda che lì non si fuma».
«Va bene».
Penso dentro di me che alla mala parata, se proprio non mi trovo, me ne potrò sempre andare.
«Portati dei vestiti molto comodi».
«Va bene».

Butto in una borsa le peggio cose che ho. Partiamo. Ho il cuore leggero e tanta curiosità. Arriviamo a Pomaia – Toscana, alle spalle di Rosignano – dove ha sede l’Istituto del ritiro di meditazione. Il posto è bellissimo. Sintesi di campagna toscana e buddhismo. Mi sistemo nella mia casetta. Scopro subito che appena fuori dall’Istituto si può fumare. Rassicurante.

La prima cena – rigorosamente vegetariana e no alcol – è ottima. Mi guardo intorno, individuo i maestri (Corrado Pensa e sua moglie Neva Papachristou), osservo gli altri partecipanti. Saliamo nel Gompa (la sala di meditazione). Siamo circa un’ottantina di persone, le più diverse. Il maestro introduce il ritiro, Neva fornisce tutte le istruzioni pratiche.
«Alzi la mano chi non ha mai partecipato a un ritiro di meditazione».
Alzo la mano insieme a pochi altri.
Facciamo il voto del Nobile Silenzio. D’ora in poi non si potrà più parlare.

Nell’atmosfera silenziosa e al contempo intensa che percepisco intorno a me, mi sento inaspettatamente a casa. Come se fosse esattamente questo il «luogo» che stavo cercando da anni. Torno alla mia casetta nel buio illuminato dalle lucciole.

Passo i tre giorni successivi in alternanza tra il cuscino di meditazione (provando a mantenere l’attenzione sul respiro e sulla consapevolezza di me nel momento presente), i discorsi dei maestri, le meditazioni camminate e i pasti squisiti (mangiare in silenzio, senza preoccuparsi di fare conversazione con i vicini è una piacevole scoperta. Ti consente di gustare ogni singolo boccone).
La mia schiena soffre parecchio.
La mia mente, il mio cuore sono incredibilmente felici.
Ogni tanto varco i confini e vado a fumare.
Torno a casa trasformata. Come dice Corrado Pensa, «Il cammino della pratica non è una magia per fare succedere delle cose e non farne succedere altre; è imparare a prendere le cose così come sono».

A fine maggio sono stata al mio quarto ritiro. Sempre a Pomaia. Sempre con Corrado e Neva, guide luminose e accoglienti.
Come sempre la mia schiena ha sofferto.
Come sempre la mia mente e il mio cuore sono stati nutriti e rinfrancati e ho incontrato persone speciali. Non mi azzardo a spiegare nulla degli insegnamenti del Buddha. Non ne sarei capace e rischierei di svilire un patrimonio di saggezza che si tramanda da 2.500 anni. E che resiste.
Non sono nemmeno diventata buddhista. Ma la meditazione, la pratica e lo studio sono ormai parte integrante della mia vita.
Non penso di essere «migliore» di prima.
Credo solo di aver trovato un nuovo modo di vivere, di essere più pacificata con me stessa per quella che sono.
E a me pare già tantissimo.

(testo pubblicato sul blog “Futura” del Corriere della Sera, venerdì 21 settembre 2018)
www.associazioneameco.it

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