Che cos’è il Personal Branding?

È l’idea di pensare a se stessi, nel proprio ruolo pubblico e professionale, come un “Brand” da progettare e definire, presentare e promuovere.

Il Personal Brand comprende la cura di aspetti diversi:
l’immagine personale (il modo con cui ci si propone nel contatto con gli altri, lo stile nel vestire,
il tono che si utilizza nel rispondere a una email o a un messaggio);
il profilo professionale (le competenze che danno valore alla nostra figura professionale
e alla nostra attività);
la presenza sul web (ad esempio il sito o blog personale, i profili sui Social Media, personali
e professionali);
i contenuti che si producono e commentano;
la reputazione (il modo in cui gli altri ci percepiscono e parlano di noi) di cui si gode – online e offline.

Come prendersi cura del proprio Personal Branding

Il percorso di consulenza che ho progettato (e che continua a evolversi, grazie anche agli spunti
che mi arrivano dai miei stessi clienti), è pensato per accompagnare le persone a guardare se stesse prendendo in considerazione tutti gli aspetti del Personal Branding.

Al termine del percorso si avrà a disposizione un proprio Quadro d’Insieme approfondito
e al contempo sintetico e chiaro
– accompagnato da un Piano d’Azione costruito su misura
che consentirà di attivare una nuova Identità e Immagine professionale che valorizzi le proprie peculiarità e i propri talenti.
Inoltre, lavoreremo insieme su un Piano di Comunicazione per promuovesi al meglio attraverso
un utilizzo ragionato degli strumenti digitali
, dal sito/blog ai Social Network.

La mia lunga esperienza nel campo della grafica e della comunicazione mi permette di offrire qualcosa in più nella messa a punto della propria identità professionale: accompagno i clienti
nella progettazione e nella realizzazione di una Presentazione (o di un CV-One Page) ben curata
ed efficace
e nell’individuazione di una propria personale linea comunicativa attraverso l’uso delle immagini che, con l’avvento dei Social Media, sono diventate un tassello importante del nostro racconto, di come “parliamo” di noi agli altri.

La paura di parlare in pubblico

“Mi è stato detto che parlare in pubblico è una delle più grandi paure della gente. Io ho parlato molto in pubblico, nei templi e alle conferenze, a matrimoni e funerali, in dibattiti radiofonici e persino dal vivo in televisione. Fa parte del mio lavoro.
Ricordo un’occasione in cui fui sopraffatto dalla paura cinque minuti prima di una conferenza. Non avevo preparato nulla; non avevo idea di quello che avrei detto. Circa trecento persone erano sedute nella sala in attesa di essere ispirate. Avevano rinunciato alla loro serata per venire a sentire me. Cominciai a pensare tra me. «E se non mi viene in mente nulla da dire? E se dico la cosa sbagliata? E se mi rendo ridicolo?».
Ogni paura ha inizio con il pensiero «e se?» e continua con qualche esito disastroso. Stavo prevedendo il futuro e per giunta negativo. Stavo facendo una cosa stupida e lo sapevo; conoscevo la teoria, ma non funzionava. La paura continuava ad attanagliarmi. Ero nei guai.
Quella sera inventai un trucco, quello che in gergo monastico chiamiamo “un abile stratagemma” che mi servì per superare la paura in quel momento, e che da allora ha sempre funzionato.
Decisi che non aveva importanza se il pubblico apprezzava o meno il mio discorso, fintanto che l’avessi apprezzato io. Decisi di divertirmi.
Ora, ogni volta che devo tenere un discorso, io mi diverto. Traggo piacere da me stesso. Racconto storie buffe, spesso a mie spese, e rido insieme al pubblico.
…Un giorno mi sono reso conto che se si decide di divertirsi quando si deve parlare in pubblico, allora ci si rilassa. È psicologicamente impossibile aver paura e al tempo stesso divertirsi.
Quando sono rilassato, le idee fluiscono liberamente nella mia mente mentre parlo, poi escono dalla mia bocca con la scorrevolezza dell’eloquenza. Inoltre, il pubblico non si annoia quando il discorso è divertente.
Un monaco tibetano una volta spiegò l’importanza del fatto di far ridere il pubblico durante un discorso.
«Una volta che aprono la bocca» disse «allora ci puoi gettare la pillola della saggezza!».
Non preparo mai i miei discorsi. Preparo invece il mio cuore e la mia mente. In Thailandia, i monaci sono addestrati a non preparare mai un discorso, ma a essere preparati a parlare senza preavviso in qualsiasi momento.”

Ajahn Brahm “Apri il tuo cuore alla felicità. Storie edificanti sulla felicità secondo la visione del Buddha”, Gruppo editoriale Armenia, 2008

Ajahn Brahm (nella foto di apertura, credits Buddhistdoor Global), nato e cresciuto in occidente, ha abbracciato il buddhismo theravada seguendo gli insegnamenti del Maestro thailandese Ajahn Chah. Nel 1983 ha fondato un monastero in Australia, Paese in cui attualmente vive.

Tre donne, tre libri da non perdere

Tre libri di cui consiglio la lettura.
Il silenzio è cosa viva
Chandra Livia Candiani è una poetessa, traduttrice di testi buddhisti, praticante e maestra di meditazione.
Qui il link alla sua pagina Facebook https://www.facebook.com/chandraliviacandiani70

Femminili singolari
Vera Gheno è una sociolinguista specializzata in comunicazione mediata dal computer; in particolare, si occupa di lingua dei social e dei comportamenti linguistici delle persone in rete e perciò si definisce “social-linguista”.
Qui il link alla suo profilo Facebook https://www.facebook.com/wanderingsociolinguist e quello Instagram https://www.instagram.com/a_wandering_sociolinguist/

Vaccini. Mai così temuti, mai così attesi
Roberta Villa, laureata in Medicina e chirurgia, lavora da sempre come giornalista scientifica.
È molto seguita sui social, in particolare su Instagram, grazie al suo approccio rigoroso e al contempo informale alla divulgazione scientifica.
Qui il link alla sua pagina Facebook https://www.facebook.com/lavillasenzavirgola e al suo profilo Instagram https://www.instagram.com/robivil/

Ho trovato casa nel silenzio

Era un po’ che giravo intorno al tema della meditazione. E al desiderio di trovare un cammino interiore, spirituale in cui riconoscermi. Due libri di Tiziano Terzani («Un indovino mi disse» e «Un altro giro di giostra») mi avevano suscitato curiosità e parecchia materia su cui riflettere. Poi sempre un libro, «Il gusto di essere felici» di Matthieu Richard – monaco buddhista francese, per anni persona vicina al Dalai Lama – mi aveva ulteriormente intrigato.

Insomma. Era tutto lì che covava.
Nel 2014 Francesca, una delle mie due maestre di yoga di allora, mi dice: «Senti, stiamo pensando di andare a fare un ritiro di meditazione. Vuoi venire?».
«Va bene».
«Guarda che sono quattro giorni e che si fa il voto del silenzio».
«Va bene».
«Guarda che lì non si fuma».
«Va bene».
Penso dentro di me che alla mala parata, se proprio non mi trovo, me ne potrò sempre andare.
«Portati dei vestiti molto comodi».
«Va bene».

Butto in una borsa le peggio cose che ho. Partiamo. Ho il cuore leggero e tanta curiosità. Arriviamo a Pomaia – Toscana, alle spalle di Rosignano – dove ha sede l’Istituto del ritiro di meditazione. Il posto è bellissimo. Sintesi di campagna toscana e buddhismo. Mi sistemo nella mia casetta. Scopro subito che appena fuori dall’Istituto si può fumare. Rassicurante.

La prima cena – rigorosamente vegetariana e no alcol – è ottima. Mi guardo intorno, individuo i maestri (Corrado Pensa e sua moglie Neva Papachristou), osservo gli altri partecipanti. Saliamo nel Gompa (la sala di meditazione). Siamo circa un’ottantina di persone, le più diverse. Il maestro introduce il ritiro, Neva fornisce tutte le istruzioni pratiche.
«Alzi la mano chi non ha mai partecipato a un ritiro di meditazione».
Alzo la mano insieme a pochi altri.
Facciamo il voto del Nobile Silenzio. D’ora in poi non si potrà più parlare.

Nell’atmosfera silenziosa e al contempo intensa che percepisco intorno a me, mi sento inaspettatamente a casa. Come se fosse esattamente questo il «luogo» che stavo cercando da anni. Torno alla mia casetta nel buio illuminato dalle lucciole.

Passo i tre giorni successivi in alternanza tra il cuscino di meditazione (provando a mantenere l’attenzione sul respiro e sulla consapevolezza di me nel momento presente), i discorsi dei maestri, le meditazioni camminate e i pasti squisiti (mangiare in silenzio, senza preoccuparsi di fare conversazione con i vicini è una piacevole scoperta. Ti consente di gustare ogni singolo boccone).
La mia schiena soffre parecchio.
La mia mente, il mio cuore sono incredibilmente felici.
Ogni tanto varco i confini e vado a fumare.
Torno a casa trasformata. Come dice Corrado Pensa, «Il cammino della pratica non è una magia per fare succedere delle cose e non farne succedere altre; è imparare a prendere le cose così come sono».

A fine maggio sono stata al mio quarto ritiro. Sempre a Pomaia. Sempre con Corrado e Neva, guide luminose e accoglienti.
Come sempre la mia schiena ha sofferto.
Come sempre la mia mente e il mio cuore sono stati nutriti e rinfrancati e ho incontrato persone speciali. Non mi azzardo a spiegare nulla degli insegnamenti del Buddha. Non ne sarei capace e rischierei di svilire un patrimonio di saggezza che si tramanda da 2.500 anni. E che resiste.
Non sono nemmeno diventata buddhista. Ma la meditazione, la pratica e lo studio sono ormai parte integrante della mia vita.
Non penso di essere «migliore» di prima.
Credo solo di aver trovato un nuovo modo di vivere, di essere più pacificata con me stessa per quella che sono.
E a me pare già tantissimo.

(testo pubblicato sul blog “Futura” del Corriere della Sera, venerdì 21 settembre 2018)
www.associazioneameco.it

Potere alle parole

Come scrive Vera Gheno nel suo libro, a proposito delle parole “più siamo competenti nel padroneggiarle, scegliendo quelle adatte al contesto in cui ci troviamo, piú sarà completa e soddisfacente la nostra partecipazione alla società della comunicazione.”
Abbiamo pensato di invitare a parlarne con l’autrice tre donne che hanno competenze in campi diversi, per capire quanto “il potere delle parole” sia importante nel loro ambito professionale: amministrazione pubblica, giornalismo e divulgazione scientifica, comunicazione on e off line e social.

Giovedì 13 febbraio, dalle 19 alle 20,30, presso Open Milano (viale Montenero 6) Vera Gheno dialogherà con Cristina Tajani, Assessora del Comune di Milano, Roberta Villa, Giornalista scientifica e Alice Siracusano, Amministratrice delegata di Luz, agenzia di comunicazione.

Modera Teresa Cardona, fondatrice di Strategic Tools.

Accettarci nella nostra unicità

“Non è importante sapere apparire sicuri all’esterno, ma acquistare sensibilità per il nostro indiscutibile valore e accettarci nella nostra unicità.
Oggi tutti ci consigliano di accettare noi stessi: lo sappiamo da tanto tempo. La questione è come fare ad accettare se stessi.
Per prima cosa bisogna liberarsi dalle illusioni che ci facciamo su di noi: dobbiamo dire addio ai sogni diurni, nei quali fantastichiamo su di noi come se fossimo le persone più grandi e più belle. Accettare se stessi ha a che fare con l’humilitas. Con il coraggio di accettare la propria umanità.
Molti consigliano alle persone dotate di scarsa autostima di guardare ai loro punti forti: ciò può essere senz’altro giusto; ma se dietro a ciò sta la convenzione che solo i forti valgono, un tale consiglio non conduce a nulla.
Decisivo è accettarsi con tutto ciò che sta dentro di noi, non solo con i nostri punti forti, ma anche con le nostre debolezze. Per me ha un sano senso di autostima solo chi si permette anche di essere debole, chi sa guardare con umorismo alle sue debolezze.”
Anselm Grün, Autostima e accettazione dell’ombra. Come ritrovare la fiducia in se stessi.

 

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